In questo articolo racconto perché sono “andato” per tornare cambiato. Non perché debba essere d’esempio per qualcuno (ma ci mancherebbe!!) ma perché credo che le domande all’interno delle storie spesso si ripetano, cambieranno le risposte che ognuno trova.
Due riflessioni e una domanda alla fine per te.
Alla domanda “Cosa entra del lavoro in me e cosa restituisco al mondo?“
Personalmente, cerco il modo di stare più tempo possibile nella “Traversa“, il campo della mia infanzia (se clicchi qui, vai all’articolo in cui spiego cos’è per me e quali progetti futuri ho per lui): lì, fermo, ad ascoltare e guardare piante, capanni, fiori, strade vicine o lontane che siano.
Poteva essere un obiettivo semplice da raggiungere, era lì sin da quando ero bambino.
Perché girare per lavoro, andare lontano, incontrare gente, fare file, code in macchina, stare davanti al pc per ore, quando avevo questo luogo a pochi metri da casa? Non potevo fare altro, magari vicino a casa, e restare lì?
Amo quello che faccio, ma amo anche stare in quel luogo di silenzio
Il lavoro che svolgo lo amo davvero, profondamente, sento mia la vocazione di aiutare le persone nella crescita professionale e personale. Ma forse, per trovare una risposta completa, devo dire che amo anche stare seduto nella campagna: dopo aver affrontato di giorno il mondo fuori; dopo aver fatto mille incontri; lo studio; dopo milioni di parole ascoltate e dette con chi proviene da ogni angolo della terra.
Mi sono chiesto spesso: “perché per ritrovarmi – e rientrare in me – vado nel campo e nella natura?“
Risposta: “perché mi fa percepire una prospettiva e un sapore diverso: grazie alle esperienze maturate giorno dopo giorno, là faccio germogliare sensazioni e sentimenti come fossero piantine, mentre qualche foglia cade e un animale selvatico corre a pochi passi verso il bosco“.
Eraclito e il campo
Eraclito diceva dell’impossibilità di immergersi nello stesso fiume due volte, perché sebbene il corso d’acqua e la persona fossero sempre loro, erano in ogni momento differenti così immerse nello scorrere del tempo.
Ecco, giorno dopo giorno nel campo sono sempre io, ma diverso. E lo sono sempre più cercando di scoprire qualcosa di me e degli altri, in ogni esperienza maturata. Così ora porto gli incontri in questo campo e, negli incontri, quel rettangolo di terra.
In entrambe i casi, comunque, fossero tesori da scoprire, li osservo con tutto il resto e penso quanto siano simili ad un cappello – un cilindro per la precisione – in cui metto ricordi ed esperienze, traendo da entrambi piccole magie che sbucano inaspettate dalla terra.
E tu?
Tu, che stai leggendo, dove farai germogliare quello che ogni giorno ti viene incontro?