Quante volte, quante volte (due volte per rafforzare l’idea, qui ci vuole dai!) abbiamo detto o pensato:“mi sono rotto!”. E’ un’esternazione più che comprensibile dopo aver sopportato disorganizzazione, maleducazione, mancanza di rispetto, continue richieste, silenzi, e così via.
La speranza non basta
Eppure -sarò breve- in molti casi prima della nostra rottura c’erano delle avvisaglie che qualcosa non andava, ma abbiamo fatto finta di niente. Goccia oggi, goccia domani, siamo arrivati al vaso che trabocca, accorgendoci troppo tardi che le cose non andavano come speravamo. Ecco, appunto, speravamo. La speranza, ci dà l’idea di poter migliorare in futuro le cose, lo dice un “speratore seriale” come me, riponendo un po’ più in là la meta del desiderio che qualcosa cambi o cambierà. Ecco, benedetta speranza, cui io tendo ciecamente -solo per alcuni ambiti della vita, sia chiaro- delle volte ci fai del male, o meglio, ce ne facciamo fare. Per quanto riguarda il desiderio di cambiamento delle persone, quello l’ho messo da parte, non perché non creda che si possa cambiare, e le persone non possano diventare migliori, anzi, lo credo fermamente, ma ritengo che questo venga fatto deliberatamente e per scelta, quindi non per caso, ma per volontà e comprensione. Possiamo solo sperare che le persone o le organizzazioni si “iluminino”, però intanto noi che facciamo, ci lasciamo trasportare in balìa degli eventi?
Proattività
Se attendo un cambiamento miracoloso sul lavoro o nei rapporti con gli altri mi espongo all’arbitrio, al caso. Invece, credo, dovremmo avviare un processo proattivo di cambiamento, che ci faccia sentire la possibilità di avere tra le mani la nostra vita. Se sento che mi sto rompendo devo cogliere i segnali. Non dobbiamo arrivare a romperci, ma agire preventivamente. Non perché non ci si possa “aggiustare”, spesso si può e si riesce, ma perché “aggiustarsi” comporta più fatica e dolore. E se il dolore in taluni casi può fortificare -non sempre purtroppo- perché dover passare per forza attraverso eventi spiacevoli per dover crescere? E’ necessario?
Quali domande?
Non entro nella vita privata, mi limito qui a parlare dei segnali che dobbiamo saper cogliere nella nostra professione per essere felici. Per questo, credo, dovremmo chiederci quali sono gli elementi che possiamo prendere come indicatori per capire che ci stiamo rompendo. Allora domandiamoci:
- Quali sono?
- Quali potremmo darci?
La professione antifragile
Al tema del rompersi, personalmente, contrappongo l’antifragilità, cioè il sistema che impara a rafforzarsi nel tempo. La professione -a differenza di molte altre cose della vita- si può scegliere, modificare, sviluppare.
“L’essenza della grandezza consiste nella capacità di scegliere la propria personale realizzazione in circostanze nelle quali altri scelgono la follia.”
Watne W. Dyer
Possiamo essere trampolino che si flette un po’ ma che poi manda ancora più in alto i propri progetti.
Buonagiornata!
Davide