Coach e guru
Imperversa, da un po’ di tempo a questa parte – e da un certo numero di persone -, una campagna di derisione verso chi si occupa di coaching.
I critici li chiamano guru- quando sono gentili – descrivendo i coach come quelli che:
– si alzano alle 5 di mattina per andare a correre, studiare, lavorare;
– perseguono obiettivi da invasati, del tipo: guadagnare di più, lavorare meno, passare più tempo con la famiglia, passare più tempo per dedicarsi agli hobbies ecc. (ehm, solitamente non sarebbero normalmente ritenuti da invasati come obiettivi, ma in un contesto come quello di oggi, dove sperare e sognare pare spesso fuori contesto, possono apparire a molti come tali);
– si spacciano per quelli sempre felici;
– credono di aver capito tutto dalla vita e vogliono insegnare questo agli altri;
– lo fanno per guadagnarci alle spalle di malcapitati insoddisfatti che, abbagliati da tutto quello scintillìo, vedono nel coach un modello da seguire.
Senza entrare nell’etimologia delle parole, è evidente che il termine guru venga qui definito con accezione negativa: come guida che vuole convincere le persone. Nell’articolo propongo una serie di riflessioni in risposta a queste – poco lusinghiere – considerazioni.
ps. La foto dell’articolo è quella più psichedelica che avevo sottomano…